La PA è debitrice per 65 miliardi verso le imprese italiane? Due norme risalenti al ventennio ne “ostacolano” il recupero
Nel precedente articolo “Quando la PA non paga le fatture delle imprese private”, noi di RisarcitidalloStato.it abbiamo avuto modo di evidenziare come la Pubblica Amministrazione, nella sua veste di “cliente” di beni e servizi, rappresenti ad oggi uno dei principali debitori delle imprese italiane, avendo maturato un’esposizione per debiti commerciali contratti nei confronti di queste ultime di ben 65 miliardi di Euro.
In quell’occasione, abbiamo anche dato atto di come le imprese italiane non siano comunque prive di tutela, ben potendo ricorrere ai più comuni strumenti offerti dalla procedura civile per ottenere il recupero coattivo dei propri crediti insoluti.
Tuttavia, nel contempo, è bene precisare che ogni qualvolta un’impresa italiana si accinga ad avviare un’azione di recupero del credito nei confronti di una Pubblica Amministrazione, essa si troverà a camminare su un terreno costellato da insidie, considerate le numerose “eccezioni alla regola” previste dalla normativa – in via più o meno “nascosta” – per simili iniziative giudiziarie.
Una dei principali ostacoli a cui facciamo riferimento è quello della scelta del foro competente per territorio (ovvero, per i non addetti ai lavori, quella dell’Autorità Giudiziaria – Tribunale o Giudice di Pace – presso la quale, materialmente, avviare la causa).
Di regola – salvo specifiche eccezioni come, ad esempio, nel caso della tutela prevista dal Codice del Consumo – per i crediti commerciali (i.e. quelli relativi alla fornitura di beni o servizi) il creditore può scegliere di adire il giudice competente per il proprio comune di residenza. Si tratta di una facoltà riconosciuta dal combinato disposto degli articoli 20 Codice di Procedura Civile e 1182, comma 3, Codice Civile; nello specifico, il primo articolo prevede che “Per le cause relative a diritti di obbligazione è anche competente il giudice del luogo in cui (…) deve eseguirsi l’obbligazione dedotta in giudizio”, mentre la seconda norma stabilisce che “L’obbligazione avente per oggetto una somma di danaro deve essere adempiuta al domicilio che il creditore ha al tempo della scadenza”.
Il combinato disposto di tali previsioni, riconosce quindi al creditore di somme di denaro la facoltà di adire il giudice competente per la propria zona di residenza / sede (dovendo infatti il debitore pagare al suo domicilio).
Tutto sommato, una bella comodità, anche in termini di costi (si pensi al risparmio delle spese per la nomina di un avvocato domiciliatario, ovvero di un legale del luogo che operi da “corrispondente” a supporto di quello di fiducia del creditore).
Tuttavia, tale regola non vale nel caso in cui il debitore sia una Pubblica Amministratore, dovendo il creditore fare i conti con il cd. Foro erariale.
Come infatti ha avuto modo di affermare la giurisprudenza “Qualora debitrice sia un’Amministrazione dello Stato e l’obbligazione attenga al pagamento di una somma di denaro, le norme di contabilità pubblica individuano come “forum destinatae solutionis”(ndr. dove deve eseguirsi l’obbligazione dedotta in giudizio citata dall’articolo 20, Codice di Procedura Civile) il luogo in cui si trova la tesoreria competente ad eseguire il pagamento” (cfr. Tribunale Palermo, 02/02/2006) e ancora, “Nell’ipotesi di domanda di pagamento di una somma di danaro nei confronti di una amministrazione dello Stato, per l’individuazione della competenza per territorio occorre avere riguardo al luogo in cui ha sede l’ufficio di tesoreria tenuto ad effettuare il pagamento in base alle norme sulla contabilità generale dello Stato, particolarmente contenuta negli art. 278, lett. d), 287 e 407 del regolamento approvato con r.d. 23 maggio 1924 n. 827. Ne deriva che per le amministrazioni dello Stato non è applicabile la disciplina civilistica dettata dall’art. 1182 c.c. e in particolare non trova applicazione la norma per cui l’obbligazione avente per oggetto una somma di denaro deve essere adempiuta al domicilio che il creditore aveva al momento della scadenza” (Cass. Civ., Sez.III, 14/06/1995, n° 6692).
Due pesi, due misure. L’ennesima disparità tra pubblico e privato.
I “colpevoli” di tale “trattamento preferenziale” sono due Regi Decreti emessi nel lontano biennio 1923-1924 (ebbene sì, nel “ventennio”), nella specie il Regio Decreto 2440 del 18 novembre 1923 ed il Regio Decreto 827 del 23 maggio 1924, disciplinanti le norme sulla contabilità generale dello stato che, per ciò che attiene il caso specifico, stabiliscono presso quale luogo le pubbliche amministrazioni debbano provvedere ai pagamenti.
Nella maggior parte dei casi, tale luogo coincide con istituti di credito del territorio in cui è situato l’ente; ne consegue, che un’eventuale impresa che voglia agire per il recupero del proprio credito nei confronti di un ente pubblico di altra regione, di regola, dovrà necessariamente adire il giudice di tale luogo (anche se lontano centinaia di chilometri della propria sede).
Norme pensate nel “ventennio”, quindi palesemente anacronistiche, soprattutto tenendo in considerazione le reali necessità del nostro tempo che, a fronte di un monte crediti di ben 65 miliardi di euro, renderebbero necessarie misure in grado di agevolare le imprese italiane nel recupero dei propri dei crediti, e non – al contrario – di ostacolarle.
Purtroppo l’estrema delicatezza – ed attualità – del tema del “foro erariale”, non gode di adeguata attenzione, anche da parte degli operatori di settore.
Chiudiamo quindi con due auspici, ovvero che (i) il legislatore adegui al contesto attuale tale normativa, eliminando delle previsioni che – allo stato – non fanno altro che creare debitori di serie A e debitori di serie B e che (ii) il dibattito degli operatori del settore del recupero dei crediti giudiziale ponga maggiore attenzione all’ insidia del cd. Foro erariale che, visti i numeri pubblicati dalla CGIA di Mestre circa i debiti della Pubblica Amministrazione nei confronti delle imprese italiane, non può restare nel cono d’ombra alla quale in questi anni sembra essere stata relegata.