Il diritto alla privacy nel rapporto con altri diritti di rango costituzionale nell’interpretazione data da quattro recenti pronunce della Corte di Cassazione – Un articolo a firma degli Avvocati Marco Sebastiano Accorrà e Alessandra Perrina

Il diritto alla privacy nel rapporto con altri diritti di rango costituzionale nell’interpretazione data da quattro recenti pronunce della Corte di Cassazione – Un articolo a firma degli Avvocati Marco Sebastiano Accorrà e Alessandra Perrina

Accanto alle sentenze emesse dalla Corte di Giustizia che a livello sovranazionale indicano la corretta via da seguire per la armonizzazione del diritto nazionale a quello europeo e ai pareri del Garante quale autorità deputata a calare nella pratica la disciplina privacy, il 28 marzo dello scorso anno sono intervenute alcune interessanti pronunce della Corte di cassazione che ci mostrano come il diritto alla protezione dei dati personali, ora prevalga, ora sia subordinato ad altri diritti fondamentali, in un’ottica di coesistenza e concorrenza con questi ultimi.

La prima, l’ordinanza n. 9919 del 28 marzo 2022 ritiene illecito il trasferimento dei dati personali effettuato da un soggetto pubblico ad un altro, laddove comprenda dati ulteriori rispetto ai minimi dati indispensabili per il buon esito del procedimento. Nel dettaglio, nella questione sottoposta alla Corte di Cassazione, il dipendente che faceva causa di servizio al Comune presentando domanda di pensione per infermità, aveva visto diffondersi la propria cartella clinica con esami diagnostici specifici che riportavano una affezione importante, tanto che diversi colleghi chiedevano informazioni sulla contagiosità della sua infermità. In proposito, la Corte, richiamando un proprio precedente emesso relativamente alle infezioni da HIV, afferma che la diffusione di informazioni anamnesiche troppo dettagliate sia da considerarsi irrilevante per il buon esito del procedimento.

L’ordinanza successiva, la 9920, sempre del medesimo giorno, ha ad oggetto l’attività di marketing che si svolge nei confronti di utenti che non hanno rilasciato il consenso a ricevere messaggi pubblicitari, in questi casi, il messaggio era proprio finalizzato, i) alla acquisizione di nuova clientela e, ii) quanto ai clienti già presenti nella customer base, ma che non avevano prestato il consenso alla attività promozionale, a far sì che rilasciassero il proprio consenso ai contatti commerciali. Ebbene, la Cassazione, muovendo dall’art. 130 del codice privacy, afferma che il consenso è richiesto non solo per l’invio di materiale di vendita diretta, ma anche più specificamente per compiere un contatto commerciale purchessia. Così, laddove non vi è consenso, vi sarà dissenso, e ogni attività volta a far mutare il dissenso in consenso unilateralmente sarà da considerarsi illegittima.

Dopo aver affermato la prevalenza della tutela della riservatezza dei propri dati, il medesimo Collegio fornisce l’esemplificazione plastica di due situazioni nelle quali, nel contrapposto bilanciamento degli interessi, la tutela dei dati soccombe.

L’ordinanza n. 9922, sempre del 28 marzo 2022, mostra come un trattamento dei dati non basato sul consenso rilasciato dal diretto interessato, possa divenire lecito laddove a venire in gioco vi sono interessi vitali propri e della propria famiglia. Nello specifico, la vicenda portata all’attenzione della Corte aveva ad oggetto l’utilizzo da parte del cognato del ricorrente di documentazione che attestava che quest’ultimo – detentore di fucili da caccia a altre numerose armi da fuoco – avesse un disagio mentale molto marcato ad andamento cronico, con riduzione dell’autostima e grave compromissione delle relazioni con il mondo esterno, al fine di fargli perdere il porto d’armi, temendo, appunto, un possibile eccesso di reazioni difensivo aggressive a danno di terzi. Ebbene, fa notare la Corte, che per stabilire la liceità di un trattamento, oltre al consenso del titolare, l’art. 6 del GDPR prevede anche il perseguimento del legittimo interesse non solo del titolare, ma anche di terzi. Ebbene, la prevalenza della tutela del bene della vita, prevale nettamente sulla tutela della riservatezza dei dati personali, tanto da far ritenere legittima la rivelazione di taluni dati sanitari, se indispensabile per scongiurare pregiudizi all’incolumità.

È poi, nella sentenza n. 9921/2022 che viene delineata la portata della tutela risarcitoria a fronte di una eventuale violazione del trattamento dei dati. Anche in questo caso sembra opportuno muovere da una breve disamina della vicenda oggetto di causa, nella quale il ricorrente lamenta che nel testo di una relazione di stima non sarebbe stato oscurato il suo nome, con conseguente illecito trattamento dei propri dati personali. La Cassazione rigetta il ricorso per inammissibilità dei motivi, atteso che se anche in astratto nella vicenda si è effettivamente avuto illecito trattamento, detta condotta non è sanzionabile ex sé, ma solo fintanto che provoca conseguenze effettivamente dannose e in quanto tali risarcibili. Nel momento in cui non è dimostrato alcun pregiudizio negativo di natura patrimoniale, non si può parlare di lesione vera e propria del diritto.

In conclusione, il diritto alla riservatezza – all’indomani delle pronunce della Cassazione – assume dei connotati più precisi che rispondono ai seguenti principi: i) il principio della minimizzazione della diffusione, o se si preferisce della proporzionalità dei dati al raggiungimento dello scopo; ii) il principio del consenso espresso in campo di telemarketing, intendendosi che laddove non vi sia espresso consenso, vi sia dissenso; iii) il principio di soccombenza della tutela dei dati sensibili, laddove ci sia il rischio di incolumità di interessi vitali; iv) da ultimo, la necessaria lesività della violazione, perché possa procedersi al risarcimento del danno provocato dall’illecito trattamento dei dati.

Con le 4 pronunce, 4 pietre miliari sono state poste. Staremo a vedere come saranno trattati questi principi nella futura speculazione giurisprudenziale.

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